Gli anni ’50

Senso (1954) di Luchino ViscontiNegli anni ’50 finalmente il valore della Mostra viene riconosciuto definitivamente nel campo internazionale, conoscendo un periodo di forte espansione, e concorrendo all’affermazione di nuove scuole di cinema, come quella giapponese e quella indiana, con l’arrivo dei più grandi registi e divi.

In questi anni la rassegna cambia più volte direttore, alla ricerca di nuovi spunti e nuove strade da percorrere: Antonio Petrucci (1949-1953), di nuovo Ottavio Croze (1954-1955), Floris Ammannati (1956-1959).

Sono anni importanti, con il mondo del cinema che sembra ormai essersi lasciato definitivamente alle spalle il fantasma della guerra, e la mostra contribuisce ad influenzare le tendenze dell’epoca.

Venezia lancia definitivamente il cinema giapponese, che si impone alla ribalta in Occidente grazie al Leone d’Oro vinto da Rashômon del grande regista nipponico Akira Kurosawa nel 1951, “bissato” sette anni dopo, nel 1958, da L’uomo del risciò di Iroshi Inagaki. I racconti della luna pallida d’agosto (1953), L’intendente Sanshô (1954) di Kenji Mizoguchi e I sette samurai (1954), sempre di Kurosawa, vincono il comunque prestigioso secondo premio, il Leone d’Argento, mentre altri film nipponici in concorso, non premiati, riscuotono comunque un buon successo, come La vita di O Haru donna galante (1952) di Kenji Mizoguchi e L’Arpa birmana (1956) di Kon Ichikawa.

Lo stesso successo riscuote il giovane cinema indiano, che si afferma a sua volta con un Leone d’Oro vinto nel 1957 da L’invitto di Satyajit Ray.

La scuola dell’Est europeo, premiata già con il Gran premio della Giuria internazionale ottenuto nel 1947 dall’opera del cecoslovacco Karel Stekly, Siréna, si impone nuovamente grazie alla presenza di nuovi validi autori, tra i quali meritano una citazione Andrzej Wajda e Andrzej Munk.

Dopo l’exploit negli anni ’40 dei primi film neorealisti, gli anni ’50 segnano l’arrivo sugli schermi del festival di due dei più grandi ed amati registi italiani del dopoguerra, Federico Fellini e Michelangelo Antonioni, che vengono consacrati proprio dalla loro presenza al Lido. Contemporaneamente, ai grandi maestri si affacciano una serie di giovani emergenti, promettenti volti nuovi di un panorama nazionale in grande ascesa, quantitativa e , soprattutto, qualitativa, che daranno vita al periodo forse più brillante del cinema italiano sul piano internazionale. A Venezia si presentano nel 1958 Francesco Rosi, con La sfida, e soprattutto Ermanno Olmi, con l’opera prima Il tempo si è fermato, datata 1959.

Nonostante la grande fama ed il prestigio ottenuto, il cinema italiano non viene adeguatamente premiato al festival, scatenando roventi polemiche. Due episodi accendono lunghe discussioni: il Leone d’Oro non assegnato a Luchino Visconti né nel 1954 per Senso, a favore del film Romeo e Giulietta di Renato Castellani, né nel 1960, per Rocco e i suoi fratelli, questa volta in favore di un film d’oltralpe, ll passaggio del Reno di André Cayatte. Il massimo riconoscimento gli verrà conferito solo nel 1964, quando Vaghe stelle dell’Orsa vince finalmente l’ambito premio.

Anche Roberto Rossellini, altro autore di spicco del cinema italiano dell’epoca, presenta molti dei suoi film nel corso della rassegna: il 1950 è l’anno di Francesco giullare di Dio e Stromboli, due anni dopo presenta Europa ’51.

Scandali a parte, è il cinema europeo a fare la parte del leone. La scuola del vecchio continente si afferma tanto con autori già noti, quali il danese Carl Theodor Dreyer, premiato con il Leone d’Oro per il suo Ordet (1955) e lo svedese Ingmar Bergman, che con Il volto conquista il Premio Speciale della Giuria nel 1959, dopo aver già partecipato alla mostra nel 1948, allora completamente sconosciuto e inosservato, con Musica nel buio, quanto con i nuovi autori. In questo campo si mette in luce ancora una volta il cinema francese; Robert Bresson si rivela nel 1951 con Il diario di un curato di campagna; Louis Malle presenta, nel 1958 il film scandalo Gli amanti, che nonostante le polemiche e l’indignazione di molti vince il Premio Speciale; ultimo, solo in ordine di tempo, exploit è quello di Claude Chabrol, presenta nel 1958 Le beau Serge, considerato successivamente dalla critica come il film che diede inizio al movimento della Nouvelle Vague.

In questi anni, finalmente Venezia può celebrare il ritorno alla mostra del cinema statunitense, che si presenta con nuovi registi quali Elia Kazan, Billy Wilder, Samuel Fuller, Robert Aldrich.

I nuovi divi del panorama cinematografico si fanno conoscere al Lido: il 1954 è il turno di Marlon Brando, con il film Fronte del porto, di Elia Kazan, quattro anni dopo, nel 1958, a monopolizzare l’attenzione di tutti è Brigitte Bardot, protagonista del film La ragazza del peccato di Claude Autant-Lara, ma anche i divi e soprattutto le dive italiane si fanno notare: due nomi su tutti sono quelli di Sophia Loren, vincitrice della Coppa Volpi nel 1958 per l’interpretazione in Orchidea nera di Martin Ritt, e Gina Lollobrigida, ma anche Alberto Sordi, Vittorio Gassman e Silvana Mangano, presenti nel film vincitore del Leone d’Oro del 1959, La grande guerra di Mario Monicelli, e Giulietta Masina, lanciata dalle sue interpretazioni in vari film di Federico Fellini.